venerdì 30 agosto 2013

...Ritorni. O commiato


Confermo: i ritorni sono difficili.
Se la realtà non esiste ma è frutto di una nostra rappresentazione mentale, il ritorno in un luogo altro-da-sé implica una rielaborazione - gli antropologi amano dire: riplasmazione - di quanto in precedenza creato.
Per Tunisi e i suoi sobborghi, investiti da una rapida trasformazione che è transizione, il ritorno a distanza di un anno intenso, in cui un nuovo governo che doveva farsi da parte a ottobre ma che è rimasto al potere senza legittimità, una nuova assemblea costituente, due dolorosi omicidi politici, una nuova appropriazione identitaria islamica da un lato e laica dall'altra - che involvono in Amina e le Femen - può spiazzare.




Occorre maturità: approfondire le conoscenze è un rischio. Si può avere paura di sapere.
La superficialità può mutare l'intrigante dell'ignoto appena sfiorato in banale piattume.
L'altezza eleva ma ha una controindicazione: le vertigini.




Nessun giornale italiano, nessuno dei nostri media ha una visione internazionale che permetta una comprensione della situazione tunisina il più possibile veritiera (risparmiamo di chiederci se la verità esista o meno).

La Tunisia non è l'Italia. Piaccia o non piaccia, è Africa. Mediterranea, ma Africa. Nel bene e nel male.
Se ne faccia una ragione tanto chi la vuole moderno avamposto di un immaginario esotico per sguazzare in comodità e convenienze, quanto chi, allarmista più del dovuto, avversa l'islam senza conoscerlo. E senza capire che la vera rivoluzione in Tunisia ci sarebbe proprio se il governo fosse realmente islamico. Perché la società tunisina non lo è più di quanto non sia cattolica quella italiana, cioè in quel modo che è un compromesso tra la pura formalità, la tradizione e l'ipocrisia.






Se in Europa, in Italia, si vive un nuovo slancio ecologico - in verità già un po' smorzato, dopo che, prevedibilmente, la longa manus delle mafie si è appropriata di pannelli solari, pale eoliche, inceneritori, smaltimento rifiuti - parlare di raccolta differenziata in Tunisia farebbe ridere. Non so quanto sia facile da capire, ma non avrebbe senso. Eppure ha senso che l'occhio occidentale resti schifato dalla plastica trascinata sul bagnasciuga o dalle buste d'immondizia lasciate quasi a casaccio sui marciapiedi.

L'educazione dei bambini italiani - sempre più pochi - è considerata un'operazione gravosa. Che fa spendere soldi e risorse, che richiede l'attenzione ossessiva di genitori incapaci di promuovere valori civili e morali, sostituendovi l'idea che la ricchezza è tutto, che il superfluo è necessario, che la maleducazione è dovuta, che ciò che si vuole bisogna che si ottenga, che il fine giustifica i mezzi. Sostenendo l'equivalenza tra progresso e benessere materiale, tra svago e disimpegno sociopolitico.
Al contrario sulle spiagge del Kram si affollano bambini che fanno tenerezza nel loro approccio al mondo: barcollanti tra le onde, armati della sola sabbia come gioco, dell'acqua del mare come sincero divertimento.

Forse è una questione di irrazionale, partigiana simpatia. Ma preferisco vedere un bambino che si "forma le ossa", affrontando da subito le difficoltà, "sbattendo la testa", metaforicamente e non, contro le avversità a uno cui un genitore pauroso impedisce il superamento degli ostacoli, preclude le esperienze, utilizza come un pupazzo da vestire con le marche più costose e come proprio robot - avatar, direbbe un patito dei colossal o un induista - che debba realizzare i propri sogni.




Commiato.
Sono a Roma. I bangladesi dell'Esquilino prendono il posto dei tunisini del Kram e mi fanno avvertire meno traumatica l'immersione tra italiani. E' buffo camminare e osservare scritte italiane invece che tentare goffe letture di quelle francesi. O soffermarsi sugli incomprensibili caratteri arabi.


EPILOGO

Questo è l'ultimo post. 
Ho pensato di tenere il blog per il soggiorno in Tunisia, ora che siamo tornati non ha più motivo d'essere.
Grazie a tutti coloro che hanno avuto voglia e pazienza di leggere. Se avranno tratto qualcosa di positivo ne sarò felice. 


mercoledì 28 agosto 2013

La morte rende tutti più buoni


Il cimitero musulmano di Hammamet è davvero enorme. Si estende poco fuori la medina digradando sino al lungomare. La disposizione ordinata delle centinaia di tombe non può passare inosservata: i morti musulmani sono sepolti tutti con la testa rivolta a La Mecca.
Accanto a esso, un altro piccolo cimitero: si tratta di quello cristiano. Quello famoso per ospitare le spoglie di Bettino Craxi. Esilio, fuga o commiato?

Cimitero islamico a Hammamet 


Vivo o morto, Craxi è stato soprattutto un disonesto ladrone. Se non fosse stato per lui Berlusconi non avrebbe avuto la strada in discesa. Tuttavia era meno sfacciato, più raffinato dei politici post-Mani pulite. Dobbiamo a Craxi una revisione - che è sovvertimento - del socialismo italiano: da operaista, repubblicano, "fratello povero" dei comunisti, il socialista-tipo craxiano muterà nell'"imprenditore rampante", capace di scalare posizioni sociali, di guadagnare denaro con scaltrezza e furbizia. E Craxi, a differenza di chi poi lo ha soppiantato in politica, aveva idee e capacità per legittimare retoricamente la trasformazione del partito: il nuovo socialismo è consolidato dal suo articolo "Il Vangelo socialista" pubblicato su L'Espresso nel 1978, con la rivalorizzazione di Proudhon e l'abiura di Marx e Lenin. Aveva il coraggio di prove di forza come ha mostrato nella vicenda Sigonella, con cui sfidò i poteri americani.



Bettino Craxi

Tra un centinaio o poco più di tombe, quella di Bettino spicca per maestosità. Il custode tunisino ci vede entrare. Inizio a fare foto alle tombe italiane. Mi interessano i nomi delle famiglie emigrate. Mi incuriosisce la tomba di un Uzan, nota famiglia ebraica nordafricana, oggi presente anche in Italia, evidentemente convertito al cattolicesimo. Mi fanno riflettere quegli italiani morti a Hammamet e lì rimasti per sempre. Chissà se qualcuno ancora si ricorderà di loro, se riceveranno una visita. 



Tomba di un'emigrante

Il custode, che parla italiano, ci indica subito la tomba di Craxi, ma aggiunge “Sono contento che guardiate pure le altre tombe. I morti sono tutti uguali”. Totò sarebbe d’accordo, ma dopotutto non è così. La tomba di Craxi è diversa dalle altre. Si distingue per quella frase con cui ha voluto immortalarsi per sempre, che sembra quasi uno sfottò: La mia libertà equivale alla mia vita; per il marmo lucente, per la bandiera italiana che sventola in alto, per il leggio che accoglie un registro sul quale i visitatori lasciano commenti.
Memore di Bettino che subisce il lancio di monetine, avevo portato con me due monete da 20 millesimi di dinaro (poco meno di un centesimo di euro) per omaggiare il ladrone. Le appoggio sulla tomba e scattiamo qualche foto. Vorrei scrivere un messaggio pure io, ce l’ho pronto: “Caro Bettino, se sei all’Inferno, dove meriti, porta con te il tuo amico Silvio”. Ma dei baresi vengono a disturbare: foto sorridenti accanto alla tomba - uno di loro urla: "Quanta strada mi hai fatto fare per vederti, Bettino!" -, frasi apposte sul registro.





Se ne vanno ma piomba il custode. Prende il registro. Mentre si avvia per riporlo nella guardiola gli dico che vorrei scrivere una frase pure io, ma lui bofonchia che è tardi, che ci potevo pensare prima, che deve andarsene perché è finita la sua giornata lavorativa. Torna sulla tomba, toglie anche la bandiera italiana, la piega e la porta nella guardiola. Mentre con una rosa rossa, deposta sulla tomba, spolvera il marmo, vede le monete sulla tomba.Con sincero disprezzo per il gesto inveisce ad alta voce, in italiano, per farci sentire: "Stronzi italiani! Pezzi di merda! Povero Bettino, che t'hanno fatto?" E, abbozzando di rincorrerci: "Chiamo la polizia!"



A passo svelto ci allontaniamo dal piccolo cimitero, lanciando fugaci sguardi su altre tombe, anonime, incrostate dal tempo. Mi chiedo se il tunisino sappia qualcosa di quel morto spregiudicato. O se invece i soldi di Bobo e Stefania per quel lavoro servizievole, noioso e monotono non lo abbiano convinto che si trattasse si un sant'uomo. 


mercoledì 21 agosto 2013

Angeli e Demoni

Un giorno di quattro anni fa un ragazzo all'università, ricordo che si chiamava Lorenzo, pose la questione seguente: "è possibile essere antropologi e razzisti?" La domanda non era fuori luogo, perché l'antropologo, studioso dell'alterità, amante delle differenze, sostenitore dei diritti di uguaglianza, è spesso partigiano delle minoranze. Eppure tanti esempi del passato rivelano antropologi razzisti, colonialisti, asserviti ai regimi di destra. Tra cui italiani osannati come esempio di rigore scientifico, come Lidio Cipriani
Il professore rispose: "Si può essere viaggiatori e razzisti? Scegliere di trascorrere la vita in giro per il mondo, in paesi africani, poveri, diversi, lontani dall'Occidente, sapersi adattare a ambienti difficili e lontani... e essere razzisti?" 


Classico portone di Sidi Bou Said


Angelo ha 65 anni. E' nato a Grottaminarda, un paese dell'avellinese che ha lasciato a 16 anni per la Svizzera. Ha iniziato così a impiegarsi nella ristorazione. Quel ragazzo che faceva il cameriere ha poi gestito vari ristoranti per il mondo: Germania, Polonia, Bulgaria, Venezuela. Oggi è uno chef in Tunisia. Vive qui da 10 anni, con moglie tunisina e figlio. Insomma, si direbbe la bella storia di un viaggiatore innamorato dell'avventura, dell'esotico, capace di vivere in luoghi disparati.


Spiaggia di Hammamet

E' domenica e Angelo è solo sulla spiaggia del Kram. 
"Mia moglie e mio figlio sono a Hammamet con i parenti di lei. Io con loro non mi trovo, non mi piacciono". 
Ah, ecco. Ottimo insegnamento per il bambino. Non sarebbe il caso di dare un esempio migliore? 
"Glielo do il buon esempio. Mio figlio è stato bocciato l'altro anno. L'hanno fatto apposta, perché è italiano! Mi hanno costretto a metterlo alla scuola privata, qua a La Marsa. Sai quanto costa? 500 euro al mese! Per fortuna io guadagno tanto". 
Bene, questo sì che è un buon esempio.

Insomma, Angelo, come sono i tunisini?
 "I tunisini sono tutti invidiosi e cattivi. Sono ipocriti, ti pugnalano alle spalle. Non se ne salva uno. Io li odio! C’è da litigare con tutti. Pure con mia moglie non vado più d’accordo. Ho paura che voglia educare mio figlio da arabo. I tunisini che arrivano in Sicilia li sgozzerei sul molo, come maiali".

Un vicolo a Sidi Bou Said
 Angelo ha 50 anni e genitori siciliani. Vive a Sidi Bou Said e possedeva un ristorante. Di quel locale non restano che macerie, distrutto dalla rivoluzione dei gelsomini del 2010-2011. 
Angelo sa spiazzarci: "Non me la prendo, posso capire i tunisini che hanno distrutto il  mio ristorante. Gli italiani che vengono qua a fare gli imprenditori vogliono solo sfruttare la situazione, con mezzi poco leciti e poco chiari. Disprezzano i tunisini, Criticano il paese, fanno continui paragoni con l'Italia. A loro dico sempre la stessa cosa: se non amate la Tunisia, se non vi piace la vita qui, tornate da dove siete venuti". 

Vallo a spiegare ai tunisini che Angelo è nato lì, a Tunisi. Che è uno di loro. E che quando è stato in Italia per uno stage la sua particolarità era diventata scherno: "Mi chiamavano l'arabo". 

sabato 17 agosto 2013

L'apparenza inganna. O se preferite: l'abito non fa il monaco

Spesso siamo condizionati da una realtà che non esiste. Che, veicolata da stereotipi, si insinua nelle nostre menti, facendoci interpretare il mondo con lenti deformanti. 

Ricordo perfettamente l'11 settembre 2001. Ero nella biblioteca di matematica alla Sapienza. Non ero in grado di capire che quella data avrebbe cambiato il mondo per un bel po' di anni. Ricordo la psicosi da attentati nelle metropolitane e nei treni. Ricordo le persone dalle sembianze arabe - non necessariamente arabe e neppure immigrate - fermate per controlli dalla polizia nelle stazioni. La Lega nord che inveiva ancora più di quanto già non facesse contro gli immigrati musulmani.





Non lo sapevamo, ma si stava consolidando una vera bestialità logica: 

alcuni arabi hanno distrutto le Twin Towers  QUINDI  tutti gli arabi sono terroristi  QUINDI bisogna diffidare di tutti coloro che hanno la faccia da arabo

E meno male che l'apparenza inganna! Si trattava invece proprio del contrario: giudicare rispetto all'idea che si ha di una categoria. Più precisamente: per l'immaginario omologante promosso dai media occidentali occorre che a un'identità resti associata una fisionomia che ben la contenga e la esaurisca nei significati. E allora un tunisino con gli occhi azzurri disturba quanto un senegalese biondo, un italiano nero, un cinese che parla italiano senza pronunciare la L al posto della R, un terrone che ha voglia di lavorare senza fare il furbastro.
L'errore è proprio nel concetto di identità: non statica ma dinamica, multipla, sfaccettata, relazionale, sfumata. E vabbè, diciamolo con Bauman: liquida va così di moda! 

In tanti altri campi della vita capita la stessa cosa: siamo abituati a giudicare dalla fisionomia, dall'apparire invece che dall'essere. Da un involucro esterno: dilemma tra forma e sostanza?


Altro problema: siamo portati a classificare. Non capiamo che è più facile incontrare la realtà come ibrida e multiforme, molteplice e mescolata piuttosto che come un'enclave, un'isola antropologica. 


Othman Hachiri

Othman Hachiri non ha nome italiano. E neppure la faccia. Di aspetto potrebbe essere inconfondibilmente tunisino. E invece è italiano per via materna. Nata a Tunisi da una famiglia povera emigrata da Trapani, sua madre non sapeva leggere né scrivere. Faceva la sagrestana alla chiesa della Goulette.
Da un lato i conflitti islamo-cristiani inventati ad hoc da certi boriosi euroamericani - Samuel Huntington e lo scontro di civiltà -, dall'altro quest'uomo di 57 anni vissuto da sempre tra le strade della Goulette



Campagna promozionale della compagnia telefonica Tunisiana alla Goulette.
Sullo sfondo, il campanile della chiesa

Domanda banale? "Othman, lei è musulmano o cristiano?", "Mezzo e mezzo", risponde lui. Insistiamo: "Ma si sentirà un po' più musulmano o un po' più cristiano!", "Mezzo e mezzo". 
E immagino la ripugnanza che può provare un italiano, un euroamericano, a concepirsi metà musulmano e metà cristiano. Incapace, dall'alto della sua presunzione, di scorgere arricchimento laddove vede solo l'insanabile contraddizione.

domenica 11 agosto 2013

Li chiamavano fascisti

Quando sento parlare a sproposito di fascismo mi pervade un fremito di fastidio irrefrenabile.
Mi spiego. Odio il fascismo con tutto me stesso. Sono convinto che non ci sia nulla da salvare del fascismo: nulla. Quando qualcuno mi dice: "Però il duce ci ha dato l'orgoglio di essere italiani, ci faceva vivere nella sicurezza, ha bonificato la Pianura Pontina", rispondo che ci ha fatto vergognare di essere italiani, che ci faceva vivere nel terrore e che le bonifiche sono state realizzate solo per il 10%. E cito anche Arrigo Serpieri, il responsabile del programma delle bonifiche, così zittisco chi crede che inventi numeri, oltre a citare Giorgio Candeloro, storico gramsciano che ha dedicato un ampio studio all'argomento.

Medina di Tunisi

"Questo è un governo fascista". Così ci dicono alcuni degli italiani di Tunisia che abbiamo intervistato in questi giorni. E associano all'affermazione una certa paura che i salafistes, i barbuti, incutono loro.
Ne abbiamo incontrati di barbuti in giro: tunica bianca, barba lunga, a volte un copricapo simile a una papalina (che blasfemia!)
Qualcuno ci racconta che ha sentito dire di salafistes che picchiano donne in bikini sulla spiaggia, che derubano i passanti di sera. Sarà il caso, ma non siamo mai incorsi in pericoli di questo tipo.
L'anno scorso sul treno per Hammamet abbiamo fatto il viaggio con un salafiste. E' stato tutto il tempo a parlare tramite Skype con un amico: nessun atto di intemperanza nei nostri confronti.

Avenue de France

Occorrerebbe intanto indagare il legame tra Ennahda, partito al governo, e quelli che vengono chiamati salafistes. Non è chiaro quale sia. Qualcuno teme siano il loro braccio armato (come i gesuiti nella Controriforma). A ogni modo sappiano bene che pure tra i sostenitori del Pdl c'è più di un nostalgico fascista.
Ecco, torniamo al fascismo. Lo odio, dicevo. Per questo mi dà fastidio quando non lo si riconosce.

Traffico lungo l'avenue Bourguiba a Tunisi

Il presidente dell'Assemblea costituente tunisina ha bloccato i lavori il 6 agosto, convinto dai reiterati sit-in al Bardo attuati dai manifestanti dell'opposizione laica. E il giorno dopo Ennahda ha dichiarato di accettare lo stop dell'assemblea. Un governo fascista avrebbe agito allo stesso modo? O forse non avrebbe bastonato tutti, disperdendo la folla, incarcerando? D'altra parte i sit-in stanno proseguendo quotidianamente: la polizia non ha mostrato alcun atto repressivo, dopo i fatti del primo giorno.

Tornando un po' indietro: l'Assemblea costituente è formata da 217 deputati, di cui 49 donne, sia di Ennahda che dei partiti dell'opposizione. Dopo i primi giorni di protesta al Bardo, si è arrivati a ben 72 deputati dell'Assemblea costituente che si sono dimessi. Alcuni, tra cui il ministro dell'istruzione, lo hanno fatto subito dopo l'assassinio di Brahmi.

Su un muro al Bardo

Ora, addirittura non occorre parlare di fascismo ma basta fermarsi a una certa moderna italianità: quando mai ci si dimette, nelle istituzioni italiane? E per atto di solidarietà, poi! E il partito che si sarebbe trovato al posto di Ennahda, anziché accettare di bloccare i lavori, non si sarebbe forse fregato le mani, profittando di monopolizzare l'Assemblea e di creare una Costituzione ad personam? Per di più, affermando di farlo per "atto di responsabilità verso il popolo"?

Dovremmo capire, tutti - tunisini, italiani, italiani di Tunisia - che il fascismo è più vicino ai precedenti presidenti (non a caso si parlava di regimi!), che hanno azzerato tutti gli altri partiti, utilizzato mezzi di controllo informatici e telematici, portato le classi popolari alla fame, immesso spie governative tra i tassisti - che cercavano di far parlare i clienti della situazione tunisina, registrando le loro voci -, favorito il clientelismo.


p.s.: per chi si sta chiedendo: "Che c'entrano le foto?", la risposta è duplice. 
      1) Tunisi non è l'Inferno dei salafistes, ma un posto dove la gente gira per strada, compra, 
           chiacchiera;
      2) per ogni persona che manifesta, cento sono a spasso, ripiegate su se stesse, prive di 
           ambizioni sociopolitche; pensando al vestito da indossare all'Aid. A salvaguardare il 
           proprio piccolo orticello.
           Questo è un principio che non pare avere confini geopolitici. Anche quando all'Aid si 
           sostituisce la partita dell'Inter o della Roma. 



martedì 6 agosto 2013

Le manifestazioni. Ovvero: lo specchio dell'anima

La sera del 3 agosto, presso la Kasbah a Tunisi, si è tenuta una manifestazione dei seguaci di Ennahda. La protesta nasce in opposizione ai sit-in del Bardo, dove ormai da dieci sere si incontrano coloro che chiedono le dimissioni del governo e dell'assemblea costituente.
L'ambasciata italiana aveva diramato un comunicato per intimare agli italiani di evitare le strade di Tunisi. In realtà la serata è trascorsa in tranquillità. Anzi in tutta onestà il momento della preghiera, immortalato dalla bella foto pubblicata dal Corriere di Tunisi, non può lasciare indifferenti.

Un momento della preghiera alla manifestazione pro-Ennahda

Questa sera è previsto un sit-in speciale al Bardo: sei mesi fa veniva assassinato Chokri Belaid, leader dell'opposizione laica. "Dovremmo partire per Kelibia, per festeggiare l'Aid, ma tutto dipende dalla manifestazione di oggi", ci dice una signora italiana sposata con un tunisino. La frase ben sintetizza il timore, che si respira a Tunisi, che qualcosa possa accadere. Speriamo tutto si riduca ad allarmismi privi di conseguenze.

Intanto, per restare in tema di paure più o meno fondate, gli USA chiudono 22 ambasciate in Medio Oriente, Nord Africa e parte dell'Europa per il timore di attentati.

Altra sponda del Mediterraneo: Più precisamente, Italia. O meglio, Roma. Due manifestazioni pure lì.
La sera del 3 agosto si sarebbe dovuto festeggiare la nuova pedonalizzazione di via dei Fori Imperiali nel tratto antistante il Colosseo. Ma nel bel mezzo della festa sopraggiungono gruppi di destra, tra cui l'ex sindaco Alemanno, che rovinano tutto, con il pretesto di contestare la possibile discarica da realizzare presso il Divino Amore. Al punto che la presidente della Camera Laura Boldrini rinuncia a salire sul palco per il suo discorso inaugurale.
Niente male come grado di civiltà. Ma non dovremmo stupirci.

Festa per la pedonalizzazione dei Fori Imperiali

Possibile fare peggio di un ex sindaco fascista che boicotta il suo successore? Certo! Le risorse italiane in certi campi sono illimitate! Basta attendere un giorno.

Domenica 4 agosto, Roma, via del Plebiscito. Sostenitori di Berlusconi si radunano per fargli sentire il loro affetto dopo la condanna. Pessime persone che, anziché vergognarsi per aver votato un ladro ignobile, un truffatore, lo acclamano - qualcuno con il coro "duce, duce", come mostra il prezioso contributo suggerito da Gaetano Speranza - dopo averlo preso a modello in questi vent'anni. Perché sono come lui: invidiano e ammirano la sua furbizia, le sue bugie, i suoi guadagni illeciti, le sue minorenni pagate, le sue frodi, il suo malcostume.
Non stupisce che il palco sia abusivo e non autorizzato dal Comune. E che siano stati divelti dei segnali stradali che ingombravano!

Perfettamente in linea con l'intelligenza dei suoi scagnozzi, ecco cosa pensa Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato (siamo consapevoli di come stiamo precipitando in basso? L'altro è Calderoli!), a proposito delle lamentele del sindaco Ignazio Marino:
"Ha rotto... In via del Plebiscito la segnaletica è stata ripristinata la sera stessa. Vedo che qualcuno dice che due segnali sono stati messi al contrario. Basta rigirarli, no?"
Vorrei fosse una barzelletta. E invece è tutto tristemente vero.

Un intenso primo piano di Maurizio Gasparri

Leggo allora qualche pagina web dei quotidiani nazionali per provare a comprendere cosa viene detto circa questo patetico, umiliante servilismo cui si sottopongono esseruncoli venduti o imbecilli.
Quello che più fa riflettere non è tanto l'indifendibile difesa di chi è dalla sua parte, quanto l'incapacità di metterlo seriamente a nudo da parte di chi si professa a lui contrario - perché a favore della giustizia, della serietà, dell'onestà, della civiltà, del lavoro, della cultura, delle competenze, della conoscenza, del rispetto.

Anziché stigmatizzare in modo netto, definitivo, perfino violento il comportamento di quest'ometto squallido, delinquente, corrotto e corruttore, familista e immorale, incivile ed egocentrico, che finalmente non potrà più vantarsi della famosa frase: "Non sono mai stato condannato", si preferisce evidenziare che il governo andrà avanti grazie al Pdl, che non sarà così irresponsabile da rompere i patti con il Pd.
Solo gli stolti o gli ingenui non sanno che questo significherà ricattare il Pd a ogni passo: O Berlusconi o facciamo cadere il governo.
Che cada, questo miscuglio di gente priva di dignità che si spartisce ancora poteri, poltrone e denaro.
Che non ha ancora seriamente messo mano alla legge elettorale mentre permette, nell'ombra, la lenta distruzione della Costituzione.

sabato 3 agosto 2013

Se la decolonizzazione passa per i formaggi


Eravamo a pranzo: mezza baguette con pomodoro, harissa e formaggio. Solo mentre mi accingo ad aprire la confezione del camembert mi rendo conto della marca: Vieux Calife. E solo allora associo un ricordo di qualche sera prima, quando eravamo a cena e la signora Lea, italiana di Tunisia da quattro generazioni, ci legge da un libro di ricette tunisino, traducendo, la definizione di ricotta: formaggio fresco, morbido, anche chiamato guta, tipico tunisino. 
Credo sia superfluo precisare che questi formaggi si diffondono in Tunisia tra fine Ottocento e i primi decenni del Novecento, il primo per mezzo del Protettorato francese, l'altro con le copiose immigrazioni di lavoratori siciliani.


La Tunisia che conquista l'indipendenza nel 1956 con il socialista Bourguiba, che modernizza il Paese in senso laico ma che ben presto si trasforma in dittatore, deve poi sopportare un'altra dittatura ben peggiore, quella di Ben Alì. Dov'erano i paladini della democrazia che altrove hanno invece voluto esportarla: americani, europei, Onu? Accanto a lui, ben contenti della situazione. Fiancheggiavano società off-shore dei propri Paesi, multinazionali, gruppi d'affari in investimenti più o meno leciti. L'Italia, per esempio, aveva ottenuto per l'Eni una concessione che dal 1964 dura ancora oggi. E che ha come corollario - tutt'altro che secondario - la costruzione di un gasdotto che parte dal Cap Bon per arrivare a Mazara del Vallo.

Quanto è difficile comprendere la profondità degli avvenimenti che stanno accadendo in Tunisia se non si conosce un po' della storia del Paese, dei percorsi identitari ed emotivi delle persone tunisine!

Con Ben Alì non esistevano omicidi, né rischi o pericoli: la Tunisia era uno Stato di polizia e la sicurezza", dai racconti degli italiani - in buona parte nostalgici del dittatore -, si concretizzava in un modo molto simile a quello fascista: "Lasciavamo la porta aperta e nessun ladro entrava", "Potevi uscire alle due di notte e non ti accadeva niente", "Nessuno ti guardava male per strada o ti minacciava". Certo, ma non per senso civico. Tutt'altro: per un profondo terrore di finire massacrati dai poliziotti.

L'abbraccio tra Ben Alì e Berlusconi

Sciolti in modo coatto i partiti, le opposizioni politiche erano tutte in carcere o in esilio (processo già iniziato per volontà di Bourguiba). Erano all'estero tutti gli uomini politici di Ennahda: ed è sull'emotività di quest'ostracismo che meno di due anni fa hanno ottenuto un largo consenso.

E allora? Che c'entrano i camembert, le ricotte, i califfi?
La Tunisia sta ricostruendo la propria identità, svuotata dall'oppressione francese prima, dalle dittature poi. Negli ultimi tempi c'è un rifiorire di scritte arabe nelle insegne dei negozi, nelle indicazioni, sulle confezioni dei prodotti: l'arabo diventa nuovo simbolo che veicola l'identità. Le donne che indossano il velo lo fanno per riappropriarsi di qualcosa di sé che era stata loro negata: Bourguiba aveva fatto dello "svelamento" delle donne un simbolo della laicità del Paese. Il recupero dell'Islam da parte di alcuni tunisini - altra ragione della vittoria di Ennahda - va visto in quest'ottica.
Inglobare, di fatti appropriandosene, nel proprio patrimonio gastronomico - ovvero culturale - due formaggi non tunisini, anzi elementi estranei, non è paradossale: è invece indicativo della legittimazione di un popolo che necessita di ricostruire la propria autostima. Aggettivi come Vieux richiamano alla mente l'autorevolezza di un passato, una sorta di referenze legate alle origini. Un po' come quando sull'insegna di una gelateria troviamo "dal 1917". Discorso analogo per tipico: indicativo di un prodotto indissolubilmente legato a territorio e tradizioni. In Italia ci hanno riempito la testa di prodotti tipici.
Calife: ancora un ritorno all'Islam, la religione come forza di coesione.

Questo passaggio non mi pare facile da comprendere. Basta riflettere sul fatto che in Italia sarebbe considerato di maggior valore un camembert de Normandie piuttosto che uno prodotto in Italia. Ma è questo il punto: la Tunisia non è l'Italia e non si possono trarre deduzioni dai nostri parametri di giudizio.

Manco a parlarne: di tutto questo coloro che si improvvisano esperti della questione tunisina sui giornali italiani mostrano di non sapere nulla. Nei pezzi in cui si ostenta maggiore "impegno", come quello di Paolo Hutter sul Fatto Quotidiano, si profetizzano nuovi scenari per il Paese, che dovrebbe decidere tra un futuro democratico o islamista! Soprattutto la stampa italiana punta tutto su quello che è considerato il piatto forte: la liberazione di Amina!
E' necessario mostrare il seno nudo per schierarsi a favore dei diritti delle donne? L'impressione è che spesso esibizionismo ed egocentrismo smettano i loro panni consunti per indossare il vestito buono della domenica.